domenica 8 febbraio 2009

guerra

Ginsburg: Occhiacci di legno pag 67-68
Nell’antica Grecia il mito aveva contribuito al controllo sulla società, da un lato giustificandone l’assetto gerarchico, dall’altro agitando la minaccia di pene ultraterrene. Il cristianesimo aveva ereditato questa duplice funzione. Ma dopo la riforma la situazione si era deteriorata. Per tenere a freno il proletariato (gli schiavi moderni) la religione non bastava più, c’era bisogno di miti nuovi. Nietzsche sognava la rinascita del mito tedesco e pensava a Wagner, al quale la Nascita della tragedia è dedicato. Ma la rinascita del mito era in atto da tempo, e non solo in Germania. Fu il patriottismo, non la religione, a mobilitare le masse che per anni uccisero e si fecero uccidere nei campi di battaglia europei. (vedi la polemica di Proudhon e Herder e Feuerbach contro Hegel, illuminismo contro idealismo)
Il 31 marzo 1917, ancora nel pieno del conflitto, l’Economist traeva un respiro di sollievo pensando allo scampato pericolo:
“come nel luglio del 1914 il paese stava scivolando nella guerra civile sulla questione irlandese, così nella sfera industriale stava avvicinandosi a scioperi generali su una scala non distinguibile dalla guerra civile. I lavoratori dei trasporti avevano unito le loro energie per una prova di forza mentre nella meccanica l’autunno 1914 lasciava prevedere la rottura dell’accordo del 1897, rinnovato nel 1907. Eravamo sulla soglia di un grave disordine industriale quando la guerra ci ha salvati insegnando a padroni e operai l’obbligo di un comune patriottismo.
La guerra segnò una svolta irreversibile nell’organizzazione della società su tutti i piani, compresa l’rganizzazione del consenso. Le tecniche di propaganda adottate nei confronti del fronte interno e delle truppe, non smobilitarono in tempo di pace. Il sangue si aggiunse al suolo, le invocazioni alla mitica comunità originaria assunsero toni razzisti.
“intravedo la possibilità di neutralizzare la stampa per mezzo della stampa stessa, il mio governo diventerebbe giornalista. Sarebbe il giornalismo incarnato..” aveva detto il Machiavelli di Joli, rivolgendosi a Montesquieu.
Tra i materiali del progetto di Benjamin su Parigi troviamo questo passo:
“un giorno un osservatore perspicace ha detto che l’Italia fascista era diretta come un grande giornale, nonchè da un grande giornalista: un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica dela comprensione del lettore. Insomma i regimi fascisti sono regimi pubblicitari.”
Fin dal 1896 LeBon aveva proposto la pubblicità commerciale come modello per la propaganda politica e Mussolini era un suo ammiratore. Anche Hitler usa gli stessi termini: “i suo compito deve consistere come nel manifesto pubblicitario nel rendere attenta la massa, l’azione della massa dev’essere diretta più al sentimento e solo molto secondariamente al cosidetto intelletto. Chi vuole guadagnarsi la grande massa deve conoscere la chiave che apre le porte del suo cuore. Non si chiama oggettività ma volontà ed energia.” Nell’adunata di Norimberga si socorgono tanto la volontà manipolatoria di Leni Riefensthal quanto quella del regime. Ma la realtà non è un film, l’oggettività si è vendicata.

Nessun commento:

Posta un commento